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giovedì 1 novembre 2012

Trasparenza e intelligenza sono insopportabili in molti Istituti professionali!

Mi piacerebbe che uomini e donne soggiornassero negli Istituti Professionali per qualche settimana, come fantasmi, in tutti gli ambienti,  senza dover chiedere il permesso a nessuno.
Quando questo sogno potrà avverarsi?
Mi piacerebbe vedere direttamente una vera ispezione sull'efficienza ed efficacia delle attività dell'Istituto, senza girare intorno alle cose per non offendere, senza sorrisi di circostanza, senza dover accettare di chiudere il dialogo dopo miserabili e, nello stesso tempo, ragionevoli risposte.
Mi piacerebbe vedere dialoghi fatti di domande impertinenti  e risposte pertinenti, pubblicati anche in rete. Tutti con il diritto di ricevere domande e il dovere di fornire risposte, nessuno escluso, con una telecamera puntata sugli occhi.
L'arroganza, la supponenza, l'ignoranza, l'obsolescenza di molti saperi, ma anche la competenza, il merito, la passione, la frustrazione emergerebbero come due eserciti contrapposti. Così come la ragione e il pregiudizio, il coraggio e la paura, il bene e il male.
Questa è la base su cui costruire una strategia di intervento per migliorare la qualità dell'istruzione e della formazione.
Nessuno, però, entra nei recinti delle scuole rese autonome per evitare civilissime interferenze e, poi, i fantasmi non esistono.  Troppa trasparenza e intelligenza sono insopportabili nelle scuole, perché quasi tutti i soggetti sono convinti di vivere nel migliore dei mondi possibili! Sanno recitare tutti bene, ma senza interlocutori onesti.

lunedì 22 ottobre 2012

Istituire i probiviri nella scuola

I probiviri sono gli uomini onesti. Sono persone che vantano un'autorevolezza morale e sono investite di poteri giudicanti e arbitrali sul comportamento di un'istituzione, sugli eventuali contrasti interni, sui rapporti con gli altri soggetti.
Nella scuola si sente la necessità dei probiviri. Non c'è più la guerra delle ideologie e neppure quella sindacale, ma rimane il comportamento spesso lesivo della dignità di singole persone, quasi unicamente di studenti e delle loro famiglie.
Gli organi collegiali sono strumenti del più forte e i diritti degli studenti sono carta maleodorante.
I provvedimenti disciplinari a volte tracimano, nella fase processuale, nella mortificazione, nell'umiliazione dell'imputato. L'imputato non ha la possibilità di attenuare la gravità del proprio comportamento. Provando a difendersi spesso rende più grave l'atto compiuto perché il punto di vista dell'Istituzione non è mai in discussione. Culturalmente, lo studente non comprende la trappola in cui si è cacciato. Egli non ha via d'uscita; può solo piangere e deve piangere insieme ai genitori. Questo è lo spartito da seguire. Solo il raggiungimento di questa umiliazione porta la seduta disciplinare alla conclusione, al pronunciamento della sentenza che di solito è già concordata. A nessun docente viene in mente di allargare il contesto del fatto specifico all'economia della scuola e all'ambiente d'apprendimento dove convivono sia coloro chi dovrebbero dare senso all'apprendimento, sia i soggetti di apprendimento.
I soggetti di apprendimento non possono istituire un consiglio disciplinare nei confronti dei docenti e dell'istituzione scuola anche se questa è arida di iniziative motivanti e di metodologie didattiche efficaci. I docenti, al contrario, quando disturbati, possono impartire sanzioni disciplinari gratificanti del loro ruolo.
Con l'istituzione dei probiviri nella scuola i processi potranno essere fatti anche ai docenti, quando non innovano e vivono di rendita, quando utilizzano l'unico metodo che conoscono e che consiste nel "tu studi, io interrogo". Solo i probiviri posso verificare i requisiti dell'Istituto che educa con le sanzioni disciplinari. Quale lezione possono apprendere gli studenti da punizioni erogate da un Istituto che non sa cambiare, non riesce a motivare allo studio e che si nutre di umiliazioni per gratificarsi? L'odio degli studenti per la scuola e per gli insegnanti nasce da questa ingiustizia legalizzata. I probiviri potrebbero far riflettere seriamente sugli abusi dei docenti e delle Istituzioni, senza cedere a quelli opposti degli studenti.

sabato 22 settembre 2012

La democrazia dei titolari di cattedra e dei dirigenti scolastici. Il feudalesimo non è finito.


Si pensava di aver introdotto la democrazia nelle scuole con la presenza di studenti e genitori negli organi collegiali. Come in tutte le organizzazioni pubbliche il risultato è lo stesso: nessuno è responsabile e tutti sono vittime di qualcun altro. E' vero teatro. I risultati, poi, certificano il dramma. Negli Istituti Professionali il disastro è formalmente legalizzato. I morti (studenti che non arrivano al diploma) sono deceduti correttamente, cioè con le giuste discussioni pietistiche, con l'ausilio dell'analisi sociologica della società dei consumi, con il rispetto delle procedure deliberative, con la partecipazione dei genitori e studenti agli organi collegiali e con la certificazione di qualità rilasciata da un ente accreditato.
Solo uno su tre iscritti arriva al diploma in molti istituti! In altri vige il diplomificio che comunque non accontenta gli studenti e non assicura il territoriale posto di lavoro. Ciò dovrebbe bastare a capire l'inaffidabilità di persone e meccanismi di controllo, dove esistono. I morti indicano l'incapacità di fornire risposte. Indicano mancanza di professionalità, furto di vita, imbroglio, evasione di intelligenza,  mancanza di volontà.
Una democrazia che permette questi risultati va rivoltata. Bisogna parlare esplicitamente di fallimento umano e professionale di coloro che decidono in ogni singolo Istituto.  Sono necessarie tutele vere per tutti gli utenti, soprattutto per quelli che seguono le regole di comportamento degli Istituti. I docenti non sono giustificabili quando fanno da sportello bancario e ottengono risultati negativi. Andrebbero  formalmente ripresi. Nessuno  oggi ha il coraggio di farlo per  paura di ledere la cosiddetta "libertà di insegnamento": uno spauracchio che serve a nascondere rendite di conoscenze e stili di insegnamento ormai inadeguati.
La libertà di insegnamento è concepita come libertà di non dover rispondere a nessuno dei propri risultati,  soprattutto di ciò che non si fa e che non si intende fare, o cambiare. Non è mancanza di cultura didattica. E' mancanza di cultura, in generale, di intellettualità. E' vizio che ostacola lo sviluppo professionale dei giovani . E' la vera ignoranza, potente e sindacalmente organizzata. E' l'arroganza tipica del proprietario terriero (titolare della cattedra) con diritti inalienabili. La cattedra è la terra del principe feudale che si trasforma, col tempo, in piccolo proprietario terriero. I contadini che non rispondono alle precise aspettative del piccolo proprietario vengono cacciati via. Ce ne sono sempre altri pronti a sostituirli. Qualora venisse meno il numero, al piccolo proprietario viene assegnato un altro pezzo di terra (cattedra in altro istituto) e l'economia feudale, con il suo diritto e i suoi soggetti,  continua a sopravvivere. Gli studenti studiano poco  perché devono eseguire ordini che riguardano un mondo che non c'è più, perché i loro docenti operano come piccoli proprietari che imitano gli antichi  feudatari nel modo di essere, nei desideri e nelle aspirazioni. Il feudatario non è mai responsabile di nulla, come non sono mai responsabili, attualmente, il titolare di cattedra o il Dirigente Scolastico.

sabato 21 luglio 2012

Così è stata utilizzata la nostra intelligenza

Spero che un giorno si  indaghi sull'origine del degrado culturale ed economico della società italiana, partendo dalla scuola.
La scuola è il luogo ideale per capire l'origine e il radicamento del degrado. Gli ultimi 30 anni sono la storia fatta da irresponsabili. La povertà intellettuale e morale che viviamo oggi ha origine nella scuola. In essa, gli intellettuali si sono trasformati in impiegati e operai della conoscenza con una specificità: la supponenza di un gruppo umano che vuole essere casta.
Decenni di socializzazione forzata degli alunni, di odio politico tra insegnanti anche della stessa ideologia, di egoismo, di rendita di posizione, di difesa di privilegi, di ipocrisia sono stati trasmessi a generazioni, oggi maturi uomini, imprenditori, amministartori, impiegati, operai, liberi professionisti e leader incapaci di collaborare tra loro, di riconoscersi nella stessa famiglia umana in difficoltà e che deve cambiare il proprio modo di lavorare e creare un futuro per le nuove generazioni.
I comportamenti, gli atteggiamenti, i sentimenti, i pregiudizi, gli amminchiamenti appresi hanno dato risultati straordinariamente tragici e comici insieme. Le prove sono lì, nella scuola, non possono essere cancellate. Sono nei verbali degli Organi Collegiali, nei dati statistici sugli insuccessi scolastici e sugli abbandoni, nei risultati mai rappresentati in serie storiche coerenti, nelle mille attività sconclusionate, nelle mancate scelte delle Direzioni Scolastiche e dei Collegi Docenti, nell'evasione dei doveri morali, nell'esercizio di privilegi collettivi pagati a caro prezzo, nel soffocamento dell'intelligenza e del buon senso dei singoli. 
Alcuni casi possono rappresentare "quell'intelligenza, quella rettitudine morale, quella conoscenza, quella sensibilità collettiva calpestate e svendute per un piatto di lenticchie o, più semplicemente, per il piacere di imperare". Solo alcuni episodi bastano a rappresentare uno spaccato importante della scuola e della società in cui sopravviviamo.
1) Abusi e truffe ai danni della collettività sono stati ampiamente condivisi a tutti i livelli. Basta dire che l'idea centrale di molte Direzioni Scolastiche è stata ed è ancora quella di mantenere stabili i posti di lavoro a qualunque costo, proprio, a qualunque costo! Come si fa, lo sanno tutti. Un caso piuttosto triste è quello di una ragazza con 7 insufficienze che non si riesce a promuovere. Il Consiglio di Classe non  riesce a trovare un solo elemento positivo da valorizzare per ammetterla alla classe successiva con qualche debito e poi, ovviamente,  promuoverla a settembre. Il rischio è quello di smembrare una classe! Durante lo scrutinio, si indaga sulla famiglia e vita della ragazza, si apprende perfino che non ha neppure un cane da accudire che possa indurre il Consiglio di Classe a riconoscerle il valore della responsabilità e l'interesse per qualcosa di vivo. Non ha un solo problema che possa giustificare le insufficienze e l'indifferenza all'apprendimento. Le opportunità di rimediare alle insufficienze non sono mancate e la condotta non è  edificante. Dopo 20 minuti di ricerca di qualcosa da valorizzare il Consiglio di classe si arrende e decide di non  ammettela alla classe successiva, con il disappunto della Direzione.
2) Per diversi anni, dopo la pubblicazione dei risultati dello scrutinio finale, si verificano casi paradossali: allievi che protestano vigorosamente perché  rimandati a settembre. Il fatto paradossale è che questi allievi si aspettano e desiderano essere bocciati. Considerano l'esame di settembre una immeritata ulteriore punizione e un vantaggio solo per i loro insegnanti.
3) In una seduta del Consiglio d'Istituto si approva una mozione che intima all'ONU di non invadere il Kuwait, durante la prima prima Guerra del Golfo. Altre mozioni politiche di livello non proprio planetario sono molto frequenti.
4) In un'altra seduta del Consiglio d'Istituto, un suo membro, delegato di un grande sindacato,  è accusato da un sindacalista di un altro grande sindacato di infilarsi in tutte le commissioni per accumulare compensi aggiuntivi. Egli, orgoglioso, risponde che la sua partecipazione a tutte le commissioni di lavoro è giustificata dal fatto che è il responsabile del sindacato più rappresentativo della scuola e che ciò lo obbliga moralmente ad essere presente in tutte le commissioni per controllare il bilanciamento della composizione politica dei docenti. Nessuno dei componenti commenta, neppure la Direzione. Il sindacalista che lo accusa non può che adottare la stessa prassi per opporsi alla possibile discriminazione dei propri iscritti. L'importante è star dentro le commissioni e non far fare nulla di meritevole a chiunque, perchè il merito è un disvalore sindacalmente condiviso.
5) Molti progetti sono del tutto inutili e alcune commissioni  non producono nulla di importante, ma i membri sono pagati lo stesso. Un esempio è il compenso riconosciuto alla commissione viaggi in anni in cui nessuna classe patecipa a gite scolastiche. La giustificazione della Direzione? La commissione lavora lo stesso nel proporre le gite agli studenti e quindi deve essere remunerata! Una docente è andata oltre: chiede di recuperare un'ora di permesso facendo lezione in assenza della classe perchè in visita a un museo.
5) Durante l'esame di maturità, una candidata non si presenta agli orali perchè ritiene di non sapere nulla e che non vale la pena continure il supplizio. Il presidente della commissione si informa con i commissari interni e decide di chiamare la candidata al telefono. La trova in vacanza in Puglia e la invita a fare gli orali a Milano. Le dice che può presentarsi il giorno dopo con un certificato medico. La ragazza prima non accetta infastidita, poi si lascia convincere. Il giorno successivo la ragazza si presenta e fa gli orali. Ovviamente, è un esame quasi muto, viene promossa con il minimo dei voti. 
6) Durante un Collegio Docenti di inizio anno, gli insegnanti del corso serale propongono di inviare una lettera di protesta  al Ministro della P.I. In essa denunciano classi con più di 40 allievi. L'intero Collegio Docenti approva l'iniziativa. Successivamente, di quei 40 allievi iscritti ne frequentano mediamente 15 nel primo quadrimestre e 5 nel secondo quadrimestre, come è prevedibile. I dati statistici dicono che la migliore media deella frequenza di un corso serale non va al di sopra del 60%! Gli stessi insegnanti sono ora in lotta per non far chiudere il corso serale e innalzano le bandiere della cultura e e della civiltà. 
7) Durante uno sciopero generale della scuola, l'insegnante di Diritto, aderente allo sciopero,  entra  a scuola per verificare l'adesione e incontra un bidello che presiede la sua postazione di lavoro. Gli chiede perchè non sciopera contro il Governo. Il bidello risponde che "lo Stato siamo noi" e che non può scioperare contro se stesso. Il bidello ha  come titolo di studio la terza media e l'insegnate una laurea in giurisprudenza.

mercoledì 20 giugno 2012

Insegnanti o sportelli bancari?


Da circa 20 anni si parla di insegnamento per competenze. Sicuramente non nella vita quotidiana della scuola. La parola “competenze” suona ostica agli orecchi degli insegnanti. C’è chi oppone alla scuola delle competenze la scuola delle conoscenze, c’è chi sostiene che la competenza è l’esito di un addestramento pratico che nulla ha a che fare con l'educazione e chi invece la ritiene una conquista della persona alla fine di un vero processo educativo.
Al centro dell'attenzione dei docenti rimangono i contenuti, i programmi. Le dinamiche e i soggetti vivi dell'apprendimento, comprese le famiglie, rimangono a guardare oltre lo steccato che circonda il santuario fatto di conoscenze calcificate.
I docenti non comprendono che la competenza non è un oggetto che possa essere trasmesso allo studente. La competenza è una qualità della persona che viene fatta emergere. Il soggetto competente è capace di mobilitare le proprie risorse per affrontare e risolvere i problemi che gli vengono affidati o che la realtà gli mette davanti. 

E' desolante che un docente che registra periodicamente oltre il 30% di insufficienze nella sua disciplina non intenda mobilitare le risorse personali. Probabilmente perché non le riconosce dentro di sé, esattamente come non riconosce nei suoi allievi potenzialità e stili di apprendimento diversi. 
Questa incoscienza costringe dunque i docenti ad essere pienamente come sono, cioè pieni di sè, indisponibili a tirar fuori le proprie qualità, risorse e a prestare attenzione al fatto che ciò che essi insegnano si traduca in effettivo apprendimento. L'insegnante non vuole rinunciare alla comodità di rifugiarsi nella giustificazione: "gli studenti non studiano". Egli non è disponibile ad accettare che gli studenti apprendono meglio quando costruiscono il loro sapere in modo attivo, attraverso situazioni di apprendimento fondate sull’esperienza. Difficile che gli insegnanti aiutino gli studenti a scoprire e perseguire interessi, ad elevare al massimo il loro grado di coinvolgimento e alla scoperta dei loro talenti.
Gli insegnanti preferiscono  comportarsi da sportelli bancari. Prima rinunciano a farsi comunità educante, poi rinunciano al loro stesso lavoro individuale di ricerca e mobilitazione delle proprie qualità nascoste per provare a fornire senso alle conoscenze. Il cambiamento di mentalità che credono di aver operato bagnandosi alla fonte di un umanesimo taroccato non mette da parte la variazione dei tassi di interesse che applicano al ritardo delle prestazioni dei loro studenti.


domenica 20 maggio 2012

La scuola dell'obbedienza e la centralità dei docenti


La scuola continua a chiedere l'adattamento dell'allievo alla sua organizzazione, alla sua struttura, ai suoi docenti, allo stile di ogni suo dirigente. La promessa per chi si conforma è la realizzazione del progetto di vita, a cui nessuno crede. 
Non ci credono gli allievi e non ci credono le famiglie che provano a organizzarsi conformemente alle relazioni che hanno. Non ci credono gli insegnanti e i Dirigenti che godono del diritto assurdo di non dover rendere conto a nessuno, interpretando l'autonomia come libertà di non dover rispondere delle scelte che fanno e che non fanno. 
Gi studenti si conformano quindi, riservando odio.  E' questa la bella democrazia del sistema educativo e formativo che caratterizza gli Istituti Professionali!
Gli Istituti professionali promettono ai giovani che altri soggetti, le imprese, si occuperanno di loro e li assumeranno. Tale promessa è sorretta dalla citazione degli articoli della Costituzione della Repubblica Italiana. Lo Stato deve garantire questa promessa, dicono i docenti. Peccato che allo Stato non è consentito garantire una vera istruzione e formazione, a partire dal controllo dell'attuazione della riforma, dagli indici di efficienza e di efficacia dell'azione educativa di ogni singolo Istituto
Istituti Professionali e Aziende sono due soggetti che si odiano, si addebitano doveri che non hanno mai contratto. I due soggetti, pur vivendo sotto lo stesso tetto, intrattengono solo rapporti che salvaguardano la propria autonomia e indipendenza.  Nei convegni esprimono una civile convivenza, da separati in casa. Nella pratica comprano filo spinato per proteggersi da future ingerenze. 
La centralità dello studente non è mai il tema comune dei due soggetti, neppure separatamente. Non lo è nelle scuole professionali, non lo è nelle imprese. Gli studenti sono al centro dell'attenzione solo come numero per formare classi che servono a mantenere inalterato il personale lavorativo. Se le iscrizioni aumentano, le promozioni diminuiscono. Se le iscrizioni diminuiscono le promozioni aumentano, fino ad arrivare a non poter più gestire la bilancia. 
Dove si promuove troppo facilmente si sviluppano fenomeni di bullismo eclatanti, comportamenti riprovevoli e la conseguente diminuzione delle iscrizioni.
La scuola continua a operare morbosamente sugli studenti. Molti sono ancora convinti che insegnare ed educare vuol dire parcellizzare ed astrattizzare concetti e temi,  separare argomenti, mantenere formali le discipline, moltiplicare docenti e ore di lezione. Il cavallo di battaglia di coloro che si ergono a intellettuali è la mancanza di investimenti nella scuola. Per loro il problema sta solo nel denaro, non nella cultura educativa.
Le azioni educative di scuola, famiglia, chiesa, Stato, società civile sono autonomizzate ciascuna con proprie e invalicabili sfere di sovranità, come fossero Stati indipendenti in uno Stato, nemico.
L'educazione sta ancora nei precetti, nell'adattamento alla persona investita di potere. Nelle scuole professionali non si insegna a vivere, ad agire, ad usare sensi, facoltà e tulle le parti che danno senso, sentimento all'esistenza. Nelle scuole professionali si insegna, fallendo clamorosamente, ad obbedire e sottomettersi. Il valore che eguaglia l'obbedienza alla persona è  il posto di lavoro vicino casa. Quando le iscrizioni  precipitano ci si affanna a fare il conto degli anni che mancano per andare in pensione. Si pianifica la fuga! Quando un nuovo gruppo dirigente prende il posto del vecchio, vittima della crudeltà delle scelte familiari, non cambia assolutamente niente. Il nuovo gruppo porta nuovi Dei dalla propria bottega, con la solita visione non più lunga di un anno e con i soliti miserabili  e ragionevolissimi obiettivi che saranno raggiunti a fatica e solo sulla carta.

martedì 24 aprile 2012

Come dare senso allo studio

Il sistema educativo degli Istituti Professionali non vuole cambiare la propria inadeguatezza alle esigenze dei giovani e del sistema produttivo. Il sistema crede nel passettino annuale rassicurante, che avvilisce però il buon senso e la ragione, che arricchisce e radicalizza l'ipocrisia scuola-utente.
Dopo le Linee Guida per l'attuazione della Riforma aumentano le unità di apprendimento, le attività, i progetti, gli scambi, l’alternanza, i concorsi, le reti e gli eventi in cui gli studenti continuano ad essere fittiziamente protagonisti.
Gli studenti sono molto spesso l'agnello sacrificale di una perversa ideologia che concilia diseconomia e salvezza, sprechi e speranze, salvaguardia del posto vicino casa e carità. I giovani non possono, quindi, che rappresentarsi sempre più in un ruolo fittizio, appiattito sul presente, sui bisogni immediati, senza credere in nessuna prospettiva futura. Il loro orizzonte fa fatica  ad arrivare al Week End.
Le proposte degli Istituti Professionali non sono credibili e non per colpa della Riforma.
Gli Istituti Professionali non sono in grado di combattere la demotivazione dei giovani; non sono capaci di sollecitare il loro coinvolgimento verso la cultura, la ricerca, la scoperta, la soluzione di problemi e le sfide che ormai sono glocali.
Le alleanze alla pari con le forze sociali e le imprese  continuano ad essere un tabù per i  docenti, costretti a insegnare negli Istituti Professionali piuttosto che in scuole più ambite come i Licei o i Tecnici. Le alleanze con le imprese sono considerate incontri obbligati di cui non rimane niente. Nessuno apprende niente.  Vere esperienze formative non sono volute, perché l'apprendimento che ne deriva potrebbe sgonfiare l'ultima area di autorevolezza culturale dei docenti. I docenti dimenticano che la cultura non coincide con il ripetere le cose lette, ma con la prassi migliorativa di sé e degli altri.
La soluzione educativa negli Istituti Professionali non può che essere data dalla valorizzazione concreta dell'allievo mediante il lavoro, non del docente obbediente che fa sempre le stesse cose nello stesso modo. Solo il lavoro può dare senso, può collegare l'allievo con la vita sociale e produttiva, può prospettare nei giovani un progetto di vita. 
Gli allievi desiderano situazioni di apprendimento reali in cui poter svolgere compiti e risolvere problemi. Gli allievi hanno bisogno di toccare con mano i saperi teorici. Realizzando un prodotto, l'allievo fa esperienza personale di cultura e di socialità, mentre i suoi insegnanti appaiono disadattati.  
Chissà perché i dotti insegnanti vedono l'alienazione solo negli operai e non negli studenti obbligati a ripetere cose formulate in modo da mantenere la distanza dalla realtà. I dotti docenti, criticano la società dei consumi, ma obbligano i loro allievi ad essere obbedienti consumatori delle loro nozioni in un mercato monopolistico.
Solo le aziende che vivono di rendita chiedono alle scuole di addestrare gli studenti per adattarli a ruoli rigidi e prestabiliti. La crisi attuale ha decretato la morte della rendita e dei ruoli rigidi e prestabiliti. La maggioranza delle aziende, oggi,  chiede alle scuole la capacità di adattamento tecnico e culturale ai cambiamenti che esse vivono con la globalizzazione e le tecnologie delle comunicazioni; chiedono  che gli studenti abbiano appreso bene il concetto di centralità del cliente: richieste non comprensibili in un ambiente strutturato per proteggersi dai cambiamenti culturali.

mercoledì 28 marzo 2012

L'assolutismo ideologico che governa gli Istituti Professionali

Per fare il docente sarà  previsto un esame attitudinale, ma tra qualche anno. Proveranno a verificare la solita lezione strutturata a casa  e successivamente impartita alla classe? Il successo dell'apprendimento, di sicuro, non sarà monitorato. Continuerà ad esserci il solito scaricabarile tra docenti, Dirigente, Governo e genitori. Alla fine, il cerino resta in mano ai genitori perchè hanno fornito vasi da riempire (figli) gravati da un difetto occulto (la noia).
Molti docenti sono ben preparati nella loro disciplina, ma non nell' utilizzo dei contenuti in modo attuale e nelle relazioni didattiche con gli allievi. Se ciò emerge in qualche discussione, si chiude ogni dialogo, si viene guardati con sospetto e si ripropone a difesa della propria professionalità la legge del regno, secondo la quale con  il superamento del concorso basato solo sul possesso delle conoscenze si acquisisce anche la capacità assoluta di insegnare, senza alcun bisogno di verifica successiva e senza margini di ulteriore  miglioramento. I docenti e i dirigenti vivono nel migliore dei mondi possibili, se si esclude l'aspetto reddituale e la maleducazione degli allievi.
Qualcosa si muove oggi, ma è difficile sostenere senza attirare fulmini e tempeste che la capacità di insegnare non viene donata da Dio al momento del superamento del concorso! Un periodo di tirocinio per familiarizzare con metodologie divese potrebbe essere una buona prassi, prima di essere rinchiusi e abbandonati in un'aula scolastica.  E' necessario che i docenti siano affiancati o affianchino altri docenti per periodi anche lunghi ogni tre/quattro anni per apprendere nuove modalità di insegnamento o correggere pratiche didattiche inefficaci.
E' probabile che docenti dai sogni petrosi trovino più utile inveire contro il governo di turno, anzichè riflettere sull'efficacia della propria didattica.
Anche i Dirigenti Scolastici dovrebbero essere affiancati da consulenti di direzione nei  momenti decisionali. Con il tirocinio a inizio carriera apprendono pratiche vecchie per il semplice fatto che è raro incontrare dirigenti illuminati. Apprendono, per lo più furbizie, tattiche per mettere al muro chi disturba i dormienti. I dirigenti difendono solo l'equilibrio, non rischiano di vincere. Preferiscono perdere senza combattere. Che cosa si può apprendere da chi conserva il vecchio modo di pensare e fare quando la realtà muta continuamente e chiede l'assunzione di nuovi punti vista, nuove visioni  e nuovi modelli organizzativi? Gli elementi che portano alle decisioni dei dirigenti sono spesso meschini; poi ci sono le decisioni che non hanno effetti diretti e indiretti sul successo scolastico, la mancanza di decisioni per paura di sbagliare, l'incapacità  di assumersi responsabilità e la  volontà di non attuare le decisioni perchè obbligate o frutto di un compromesso sindacale. Inoltre, i Dirigenti non dovrebbero essere lasciati soli neppure dopo il periodo di affiancamento decisionale di almeno un anno. Dovrebbero essere monitorati stabilmente nelle decisioni,   nell'utilità e nel successo di queste. Ogni dirigente dovrebbe avere un sostegno direzionale vero, invasivo. Chi gestisce un Istituto ha una responsabilità sociale e la società deve tutelarsi non dopo, ma durante il peridodo di investimento nelle risorse umane.
Attualmente, l'assolutismo ideologico si fonda su un patto di non disturbo: Il Ministro e i suoi Dirigenti periferici non disturbano i Dirigenti Scolastici, i Dirigenti non disturbano i docenti, i docenti fanno ciò che hanno appreso in modo ripetitivo, anche se non risulta più utile a nessuno.

domenica 5 febbraio 2012

Dall'obbligazione di mezzi all'obbligazione di risultato: la rivoluzione impossibile

E' il vero salto che gli Istituti professionali dovrebbero fare. Non più una prestazione che garantisce la presenza, la spiegazione, la verifica, il voto e le decisioni collegiali supportive di fine anno, ma una prestazione che garantisce il risultato positivo finale.
Una bella rivoluzione, solo un  bel sogno! 
Le obiezioni possono essere:
1) Se la classe è formata da allievi non motivati e non adeguatamente dotati ad apprendere, come si fa a garantire il risultato?
R) Prima di assumersi l'obbligazione di risultato è necessario riscontrare la motivazione e le potenzialità di apprendimento degli aspiranti allievi, mediante un brevissimo periodo di prova. Solo dopo si decide di accettare l'obbligazione di risultato. Ciò non vuol dire che gli allievi non rispondenti a determinati requisiti non vengono accettati, o trattati diversamente. Al contrario, questi studenti devono essere valutati (attribuire valore) e monitorati più attentamente, per far acquisire loro i requisiti che non posseggono ancora, o per orientarli, entro un periodo determinato, su percorsi di studio meglio rispondenti alle loro aspettative. E' sempre l'Istituto responsabile sia del successo che del riorientamento.
2) Se gli allievi su cui si garantisce il risultato cambiano,  nel corso dell'anno?
R) Si prende atto e si comunica alla famiglia e all'allievo che le cose sono cambiate, che  per confermare l'obbligazione di risultato è necessario che adotti un atteggiamento positivo e segua un percorso di studio rigidamente definito e controllato. Qualora l'allievo non volesse cambiare atteggiamento e/o seguire il rigido percorso prescritto, l'obbligazione del docente viene convertita in obbligazione di mezzi. La differenza sta nella tempestiva comunicazione e nella strategia vincolante che l'allievo in deficit di risultato dovrà seguire perchè non cambi l'obbligazione del docente e/o dell'Istituto.
3) Qual è il vantaggio di questa modalità contrattuale rispetto all'applicazione della normale diligenza da parte del docente e all'applicazione di una procedura di qualità sulla prestazione didattiche? Inoltre, se un allievo è già bravo e diligente dall'inizio, non è superfluo garantirgli il risultato? Come si evidenzia il valore aggiunto del docente e dell'Istituto?
R) Ci sono allievi che hanno buone potenzialità, ma un approccio alla scuola e alle discipline negativo. Iniziano con un pregiudizio che poi trova sostegno e forza nelle paranoiche e formali azioni dell'organizzazione scolastica e di singoli docenti, i quali limitano la loro azione a spiegare e fare verifiche, senza preoccuparsi di capire cosa succede effettivamente nell'allievo e nella relazione didattica. Il rafforzamento del pregiudizio dell'allievo fa sorgere nel docente un pregiudizio opposto. I due pregiudizi possono portare diritto all'insuccesso, perché i pregiudizi tendono a radicalizzarsi e alla fine la valutazione finale risente di questi. Ci si trova a doversi affidare alla fortuna! Solo il rischio dell'insegnante di dover cambiare scuola e il desiderio di un organico stabile da parte della direzione può disinnescare il pregiudizio nella valutazione finale e quindi può determinare la fortuna dell'allievo. Quando la futura classe non rischia di essere smembrata, il pregiudizio diventa valore da rispettare con conseguente sfortuna per l'allievo. 
4) Se un Istituto o singoli docenti non vedono l'utilità di introdurre l'obbligazione di risultato, devono essere costretti ad adottarla?
Nessuno deve essere obbligatorio. L'obbligazione di risultato  non deve essere neppure negata a quegli Istituti e a quegli insegnanti che lo desiderano, come volontà di costruire il proprio merito, la propria professionalità. La scelta è molto impegnativa e può portare a giustificare il riconoscimento di risorse aggiuntive per valorizzare metodologie innovative e docenti che mettono in discussione le proprie metodologie didattiche, che scelgono di non rifugiarsi nella rendita della prestazione fissa nascosta nell'obbligazione di mezzi.
I vantaggi del passaggio dall'obbligazione di mezzi all'obbligazione di risultato sono evidenti anche ai ciechi e sono di natura psicologica e prestazionale.
a) lo studente che risponde ai requisiti di adattamento alla disciplina ha la certezza che se lavora nel modo richiesto dal docente sarà certamente promosso.
b) lo studente che non risponde ai requisiti di adattamento alla disciplina è un allievo da condurre alla promozione e che sarà ancora di più curato, proprio perché parte svantaggiato, in ritardo rispetto allo studente che risponde ai requisiti prestazionali.  E' proprio questo studente che può segnare il valore aggiunto costruito dall'insegnante. Inoltre, lo studente, nel corso dell'anno, può sempre passare tra quelli nei confronti dei quali vi è un'obbligazione di risultato a dimostrazione del successo riconosciuto in itinere suo e del suo insegnante.

martedì 3 gennaio 2012

La professionalità del docente

Ad ogni richiesta di cambiamento c'è sempre qualcuno che prende le distanze, rivendicando il diritto di difendere la propria professionalità. La maggioranza, però, si limita a prendere le distanze, in silenzio.
La professionalità è la cultura del lavoro acquisita mediante conoscenze e pratiche quotidiane di successo.
Il successo nell'istruzione è riconoscibile dal valore aggiunto, soprattutto quando si parte da situazioni difficili o disperate. Il valore aggiunto è ciò che fa la professionalità.  Negli Istituti Professionali, la professionalità degli insegnanti è carente perché il successo è difficilmente riscontrabile e molto spesso non c'è neppure l'ombra. A meno che si voglia chiamare pratica di successo quando 1 allievo su 3 arriva al diploma. I due ragazzi su tre che non arrivano da nessuna parte sono stati così infiammati dalla professionalità degli insegnanti che hanno preso fuoco come fossero legno secco. Non è  più probabile che siano stati tutti vasi da riempire?
L'insuccesso è la negazione della professionalità, come i voti regalati per evitare di rivedere e rettificare il proprio punto di vista e la propria didattica.
Il successo (valore aggiunto) non è compreso nel concetto di professionalità a cui molti insegnanti si ispirano. Il successo è per tanti insegnanti addirittura un disvalore, un tarlo che penetra le menti e le rende servili al sistema di potere. E' un tabù.
Il successo è invece un valore per chi lavora. Lavoratori non responsabili dei risultati del loro lavoro non esistono. Insegnanti,  invece, si. Mi piacerebbe vedere la faccia dell'insegnante costretto a pagare l'idraulico che non riconosce la responsabilità del proprio lavoro! Gli insegnanti vogliono essere considerati dipendenti, esenti da responsabilità  sociali e civili. Il successo legato allo svolgimento della loro professione non li riguarda.
L'insegnante che esclude il successo della sua azione è un falegname che segue le specifiche per costruire parti di mobili che non vuol provare a montare, di cui non vuol conoscere la destinazione. La professionalità di un falegname si perfeziona ed ha senso nel mobile che deve stare in piedi e che occupa un suo spazio utile nell'economia di una casa. Negli Istituti Professionali i mobili a fatica stanno in piedi e non sono spesso utili all'economia della nostra società. Però bisogna difendere la professionalità degli insegnanti, cioè:  segare legname e pretendere da tutti gli altri lavoratori segni evidenti di responsabilità civile.
La progettazione del mobile, le sequenze di operazioni, i linguaggi, le procedure, i simboli, il senso di appartenenza alla comunità delle professioni e ai membri della comunità che utilizzerà il mobile sono fuori dalla considerazione dei docenti. Con quali aspettative insegnanti  che non si ritengono responsabili del loro risultato possono educare e formare la responsabilità nei futuri cittadini-lavoratori?
In questo contesto,  la valorizzazione della cultura professionale si riduce alla richiesta di aumenti salariali e seghe più maneggevoli per far mensole. Il resto è un problema che riguarda lo Stato e le Imprese, come se i cittadini vivessero in mondi separati e autosufficienti. Da una parte i responsabili del loro lavoro e gli ordini professionali, dall'altra la casta degli irresponsabili. Ma se Stato e Imprese intervengono e fanno loro il problema della progettazione, della costruzione e dell'allocazione dei mobili  vengono accusati di ledere la professionalità dei docenti. Difficile dire cosa è più dannoso di questo integralismo degli insegnanti dipendenti.