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martedì 24 aprile 2012

Come dare senso allo studio

Il sistema educativo degli Istituti Professionali non vuole cambiare la propria inadeguatezza alle esigenze dei giovani e del sistema produttivo. Il sistema crede nel passettino annuale rassicurante, che avvilisce però il buon senso e la ragione, che arricchisce e radicalizza l'ipocrisia scuola-utente.
Dopo le Linee Guida per l'attuazione della Riforma aumentano le unità di apprendimento, le attività, i progetti, gli scambi, l’alternanza, i concorsi, le reti e gli eventi in cui gli studenti continuano ad essere fittiziamente protagonisti.
Gli studenti sono molto spesso l'agnello sacrificale di una perversa ideologia che concilia diseconomia e salvezza, sprechi e speranze, salvaguardia del posto vicino casa e carità. I giovani non possono, quindi, che rappresentarsi sempre più in un ruolo fittizio, appiattito sul presente, sui bisogni immediati, senza credere in nessuna prospettiva futura. Il loro orizzonte fa fatica  ad arrivare al Week End.
Le proposte degli Istituti Professionali non sono credibili e non per colpa della Riforma.
Gli Istituti Professionali non sono in grado di combattere la demotivazione dei giovani; non sono capaci di sollecitare il loro coinvolgimento verso la cultura, la ricerca, la scoperta, la soluzione di problemi e le sfide che ormai sono glocali.
Le alleanze alla pari con le forze sociali e le imprese  continuano ad essere un tabù per i  docenti, costretti a insegnare negli Istituti Professionali piuttosto che in scuole più ambite come i Licei o i Tecnici. Le alleanze con le imprese sono considerate incontri obbligati di cui non rimane niente. Nessuno apprende niente.  Vere esperienze formative non sono volute, perché l'apprendimento che ne deriva potrebbe sgonfiare l'ultima area di autorevolezza culturale dei docenti. I docenti dimenticano che la cultura non coincide con il ripetere le cose lette, ma con la prassi migliorativa di sé e degli altri.
La soluzione educativa negli Istituti Professionali non può che essere data dalla valorizzazione concreta dell'allievo mediante il lavoro, non del docente obbediente che fa sempre le stesse cose nello stesso modo. Solo il lavoro può dare senso, può collegare l'allievo con la vita sociale e produttiva, può prospettare nei giovani un progetto di vita. 
Gli allievi desiderano situazioni di apprendimento reali in cui poter svolgere compiti e risolvere problemi. Gli allievi hanno bisogno di toccare con mano i saperi teorici. Realizzando un prodotto, l'allievo fa esperienza personale di cultura e di socialità, mentre i suoi insegnanti appaiono disadattati.  
Chissà perché i dotti insegnanti vedono l'alienazione solo negli operai e non negli studenti obbligati a ripetere cose formulate in modo da mantenere la distanza dalla realtà. I dotti docenti, criticano la società dei consumi, ma obbligano i loro allievi ad essere obbedienti consumatori delle loro nozioni in un mercato monopolistico.
Solo le aziende che vivono di rendita chiedono alle scuole di addestrare gli studenti per adattarli a ruoli rigidi e prestabiliti. La crisi attuale ha decretato la morte della rendita e dei ruoli rigidi e prestabiliti. La maggioranza delle aziende, oggi,  chiede alle scuole la capacità di adattamento tecnico e culturale ai cambiamenti che esse vivono con la globalizzazione e le tecnologie delle comunicazioni; chiedono  che gli studenti abbiano appreso bene il concetto di centralità del cliente: richieste non comprensibili in un ambiente strutturato per proteggersi dai cambiamenti culturali.