Il Governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, indica le misure strutturali che il Paese deve prendere subito per "uscire dalla stagnazione". Riguardo alla riforma dell'istruzione, Draghi sostiene che è necessario " incrementare lo stock di capitale umano, oggi inferiore in quantità e qualita' rispetto ai paesi con cui competiamo sui mercati".
Nella scuola, il termine "capitale umano" non è utilizzato neppure tra i tanti docenti di economia. Nell'ambiente scolastico, solo il pensare in termini "qualitativi e quantitativi" degli aspiranti a un titolo di studio genera sospetto e irritazione intellettuale. Infine, la "competizione sui mercati" non sembra assolutamente riguardare il mondo dell'istruzione e della formazione. La competizione sui mercati riguarda solo il mondo delle imprese, cioè un altro mondo, disgraziatamente contiguo a quello dell'istruzione, che partecipa pagando gli stipendi agli insegnanti, come per espiare un senso di colpa.
Il mondo della scuola può capire le parole del Governatore Draghi? Io credo di no, ed è demoralizzante l'assenza di una cultura capace di vedere e capire oltre il proprio naso e i propri meschini interessi.
L'applicazione degli "stress test" agli Istituti scolastici, per capire il grado di risposta che può dare un Istituto alle istanze culturali dell'Europa, sarebbe considerata un atto di forza, culturalmente riprovevole, nonostante si voglia garantire prima di tutto il futuro delle nuove generazioni.
Negli "stress test" applicati agli Istituti scolastici andrebbero rilevati le potenzialità professionali dell'Istituto (curriculum dei docenti, le competenze capitalizzate) e il loro grado di utilizzo nella scuola, la presenza di attrezzature e il loro grado di utilizzo, il grado di utilizzo delle tecnologie di comunicazione tra docenti e tra Istituto e famiglie, i piani di valorizzazione a medio termine delle competenze dei docenti e il loro programmato utilizzo, poi il grado di successo scolastico nel far fronte agli impegni assunti con l'utenza anche in termini di realizzazione di progetti di vita, il grado di soddisfazione dei fornitori interni ed esterni e la regolarità dei pagamenti. Infine, l'Istituto dovrebbe dire, in presenza di abbandoni superiori al 10%, come e in che misura intende ridurre tale indice, con quali cambiamenti organizzativi, didattici e con quale ridistribuzione del fondo d'Istituto.
Gli "stress test", oggi, confermerebbero che gli Istituti Professionali non hanno cognizione della concretezza della loro missione così tanto decantata nel POF, delle potenzialità umane e professionali sperperate, dell'assenza di razionalità nel porre obiettivi correlati al tipo di organizzazione, delle risorse finanziarie, del costo umano e sociale dovuto alla mancanza di efficienza organizzativa ed efficacia delle azioni didattiche.
In verità, non è necessario fare gli stress test per arrivare alle stesse conclusioni. Gli stress test decreterebbero la completa inaffidabilità degli Istituti Professionali, come se fossero aziende decotte, dove entrano materie prime per costruire tre auto e alla fine del processo esce solo un'auto rumorosa e poco affidabile. Tutta colpa dei fornitori distratti, cioè delle famiglie che non collaborano con l'Istituto? La storiella che la cultura umanistica è contrapposta al valore dell'efficienza e dell'economia in senso lato è corredata da tante storie di persone reali che, avendo concluso il percorso di studi, ritengono pregiudizialmente di avere nei confronti del prossimo solo diritti. Una bella educazione umanistica! Un bel prodotto di una cultura divoratrice di futuro, incapace di coniare il termine solidarietà verticale, incapace di fare le curve a gomito della vita globalizzata! Colpa dei tagli all'istruzione e della globalizzazione?
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